Come si fa la diagnosi OI

La diagnosi di OI è clinica e radiologica. 

In epoca neonatale, nelle forme gravi, possono essere presenti fratture e alterazioni degli arti e del cranio che orientano verso una OI già al momento della visita neonatale. Nelle forme moderate o in alcune forme recessive (es. tipo VI) le fratture non sono presenti in epoca neonatale ma iniziano quando il bambino comincia a camminare. Nelle forme lievi le fratture possono essere sporadiche e imprevedibili. 

Il quadro radiologico è quasi sempre indicativo, ma varia a seconda dell’età e della forma clinica. In epoca neonatale è necessario fare una valutazione radiologica completa che mette in evidenza le fratture, le deformità dei segmenti ossei, la mineralizzazione incompleta del cranio. In epoca successiva (fino ai 4-5 anni) nelle forme moderate è tipica una modalità di ossificazione del cranio a “zolle” (ossa wormiane). Una radiografia della colonna (in laterale) è utile per valutare la forma dei corpi vertebrali (a lente biconcava nei casi di OI da moderata a grave) e per decidere la strategia terapeutica. 

La densitometria ossea (detta anche DXA o MOC) fa rilevare livelli di densità minerale ossea ridotti e può aiutare la diagnosi nelle forme lievi.

Le fratture che si verificano a causa di un trauma minimo o nullo sono spesso la prima indicazione che un neonato o un bambino può avere l’OI. I bambini con forme moderate o gravi di OI nascono spesso con fratture. I bambini con OI più lieve (Tipo I) spesso subiscono la prima frattura svolgendo una normale attività (per esempio durante il cambio del pannolino, mentre vengono sollevati o quando iniziano a stare in piedi e camminare). Alcuni casi molto lievi di OI di tipo I non vengono diagnosticati fino all’adolescenza o all’età adulta. 

L’OI rimane principalmente una diagnosi clinica. Un medico che abbia familiarità con tutti i tipi di OI, può spesso diagnosticare la patologia non solo per la presenza di fratture ma anche sulla base di altre caratteristiche cliniche. Una storia familiare per la malattia e/o test genetici possono confermare una diagnosi. Ulteriori esami del sangue e delle urine vengono spesso utilizzati per escludere altri disturbi (come l’ipofosfatasia o il rachitismo). 

Diagnosi Prenatale

Le forme più gravi di OI possono essere diagnosticate in epoca prenatale. Con l’ecografia si possono rilevare deformità, fratture, dimensioni ridotte o altre anomalie ossee. Tuttavia, anche quando l’ecografia viene eseguita da un professionista altamente qualificato, potrebbe non essere possibile individuare l’OI o, a maggior ragione, distinguerne il Tipo. 

I test genetici prenatali possono rilevare tutte le forme di OI se le alterazioni genetiche in causa sono già note. Si tratta in questo caso in genere di casi familiari. In caso di una diagnostica prenatale senza che si conosca la mutazione, bisogna affidarsi ad un laboratorio abilitato alla diagnostica prenatale i cui tempi di risposta siano molto rapidi. Il DNA da esaminare di solito viene prelevato da un prelievo dei villi coriali (CVS) a circa 10 settimane dall’inizio della gravidanza o da un prelievo di liquido amniotico (amniocentesi).
Con una risonanza magnetica (RM), che si può eseguire anche in epoca fetale, invece, non è possibile valutare con precisione la struttura ossea.
Se uno dei genitori ha l’OI o il test prenatale suggerisce la presenza di segni di OI nel feto, si raccomanda alle coppie una consulenza genetica. 

Diagnosi postnatale 

Se la valutazione clinica indica la possibilità di OI, si esegue il test genetico molecolare sul potenziale paziente. Fino ad alcuni anni fa veniva eseguito prima un test per le forme dominanti di OI (geni COL1A1 e COL1A2), e solo successivamente i test per le forme recessive di OI. Attualmente con le mettodiche NGS si studia il pannello completo dei geni di tutte le forme in una unica seduta. Una diagnostica molecolare completa può aiutare a definire il tipo di OI e la modalità di trasmissione (dominante o recessiva) e quindi essere utile per fare previsioni di rischio in caso di future gravidanze.

Diagnosi differenziale 

Non sempre, in caso di fratture ricorrenti, siamo in presenza di OI. Altre patologie caratterizzate da fragilità ossea e difettosa mineralizzazione possono essere in età neonatale l’ipofosfatasia o gravi stati di carenza metterno-fetale di vitamina D o l’osteopenia del prematuro (Metabolic Bone Disease of Prematurity); nelle epoche successive l’osteomalacia, l’osteopetrosi o difetti dell’osso come displasia fibrosa e tumori. La storia, l’esame obiettivo, gli esami di laboratorio e gli studi radiografici permettono di affinare la diagnosi differenziale. 

La diagnosi va completata con l’analisi genetica molecolare (che conferma la diagnosi clino-radiologica ma non la sostituisce). Questa viene eseguita con le tecniche di sequenziamento genetico massivo (tecniche NGS – Next Generation Sequencing), in grado di analizzare in una sola tappa tutti i geni le cui mutazioni determinano le varie forme di osteogenesi imperfetta (attualmente sono circa 20 i geni malattia) . Una diagnosi molecolare completa è fondamentale per differenziare le varie forme, che possono (e potranno ancora di più in futuro) trovare tipi di cura specifici a seconda dei geni mutati. In una certa percentuale dei casi la diagnosi genetica può risultare negativa: si stanno infatti scoprendo sempre nuovi geni che possono provocare OI e alcuni non sono ancora conosciuti (vedi Linee di ricerca). 

Trattandosi di una malattia rara, la diagnosi e il follow-up vanno eseguiti in Centri che abbiano una buona esperienza in questa malattia.

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