Il mio Mondiale di Powerchair Hockey
L’appuntamento mondiale di Lignano Sabbiadoro è stato per me il passo finale di un percorso iniziato a Maggio dello scorso anno, quando per la prima volta sono stato chiamato dal C.T. a far parte del gruppo azzurro che avrebbe preparato il Mondiale di Powerchair Hockey.
Io sono una persona con O.I. che fino a meno di tre anni fa, non era mai salito su una carrozzina elettrica, ed essere convocato dopo poco più di un anno di attività, è stata allo stesso tempo una sorpresa e motivo di orgoglio.
Ho passato con altri tredici ragazzi provenienti da tutta Italia un anno e mezzo intenso, fatto di viaggi, raduni, sacrifici, risate, fatiche e lacrime.
Le prime, amare, di chi dopo tutta la preparazione per il mondiale è rimasto a casa, poiché il regolamento prevede che siano soltanto 10 atleti a rappresentare la propria nazionale al mondiale, e quindi quattro di noi sono rimasti fuori dalla lista dei convocati. Fra cui il sottoscritto.
E’ stata comunque una esperienza importantissima dal punto di vista umano e sportivo e non ho certo niente da rimproverare a me stesso perché sapevo che pur essendo migliorato molto velocemente, il gruppo era formato da ragazzi molto più pronti, bravi ed esperti di me.
Ma mi sentivo comunque parte di qualcosa, e quindi sono stato insieme a poi anche gli altri tre atleti “fuori dal campo” a tifare, soffrire e gioire insieme ai compagni che invece rappresentavano la nostra nazione sotto gli occhi di tutto il movimento mondiale dell’hockey in carrozzina elettrica.
Non posso esprimere con parole la sofferenza di dover seguire la partita dagli spalti, in mezzo ai tifosi, dovendo indossare una maglia da tifoso e non da gioco, ma è stato comunque un concentrato per me di emozioni fortissime, anche se vissute a venti metri dal terreno di gioco.
L’italia ha vinto, dopo delle partite molto tirate, vinto in finale e in semifinale ai rigori, come da tradizione di ogni vittoria sportiva italiana, soffrendo.
Credo di poter dire che moltissimi, quasi tutti, i giocatori più forti di questo sport hanno l’oi, da forme moderate, a più gravi, due giocano nella nazionale italiana, altri sono protagonisti nell’olanda che ha dominato questo sport da quando esiste, oltre alla stella della nazionale tedesca.
Di certo l’hockey è uno sport dinamico, dove lo scontro di gioco è la normalità, dove il rischio di potersi fare male c’è anche se in misura secondo me accettabile. Non mi sono mai fatto male in uno scontro di gioco da quando pratico questo sport, mai.
Quando ho iniziato per la prima volta, a provare a giocare, nutrivo qualche dubbio se questo sport apparentemente così veloce, potesse essere “adatto” ad una patologia come la mia, ma non ne sapevo molto, conoscevo soltanto il nostro Mattia Muratore e Anna Rossi, che praticavano questo sport.
Ho scelto di provarci, perché sono curioso di mio, perché da sempre amo lo sport e dopo essermi trasferito a Milano per lavoro, era l’occasione per poter provare.
E’ stato amore, immediato credo, mi sono sentito subito a mio agio in mezzo al campo, gli scontri non erano così duri, la forza per poter giocare non mi mancava e mi sembrava un sogno poter far parte di una squadra, squadra che poi è diventata amici, famiglia, risate tante, e momenti intensi di condivisione.
Il mondiale è stata per me una fuga d’amore fra me e lo sport, sono riuscito a guardarmi quasi tutte le partite, a godermi ogni attimo di questa manifestazione meravigliosa che ha unito tante persone, tante persone provenenti da continenti lontani, il Canada, l’Australia, storie lontane ma tutte familiari. La passione forte, gli occhi dei compagni che si guardano per incoraggiarsi, il sorriso dopo un gol, la delusione per la sconfitta. L’animo umano che viene sollecitato ad ogni latitudine, in ogni corpo gravato da patologie diverse, allo stesso modo. Giocare per me è staccarmi dal mondo, entrare in un’altra dimensione dove non esiste più la patologia, non ci sono i genitori che possono aiutarti, non ci sono più differenze. Sei tu, un giocatore come gli altri, un atleta come gli altri, e la palla.
Non esiste nessuna patologia quando giochi una pallina importante, quando la mazza si fa pesante, quando il tempo rallenta e la palla entra in rete. Stock, silenzio. E il pubblico che urla.
Urla, Italia Italia Italia.
Mario Di Gesaro